L'inseminazione di ferro negli oceani: una nuova tecnica per diminuire le concentrazioni atmosferiche di gas serra?

Plankton bloom off the coast of Norway as seen from the ESA satellite Envisat on 10 June 2006.

Torino, 6 gennaio 2008

A dicembre CNN ha pubblicizzato su questo sito la notizia di una ricerca condotta da un team di scienziati facenti capo ad una compagnia americana di eco-business. Il taglio della notizia è di tipo giornalistico, tuttavia la rilevanza dell'esperimento è notevole in quanto eventuali risultati positivi potrebbero consentire di aumentare il tasso di assorbimento dell'anidride carbonica (o biossido di carbonio, in seguito la CO2) presente in atmosfera da parte degli oceani, e per questo motivo mi permetto di darne diffusione attraverso una traduzione libera.

Una ricerca pubblicata a novembre 2007 in questa relazione pubblicata sulla rivista "Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS)" da Canadell ed altri autorevoli scienziati sembra evidenziare un'accelerazione del ritmo dei cambiamenti climatici in quanto la concentrazione dei gas ad effetto serra aumenterebbe ad un tasso più rapido di quello registrato nel 1990.

Gli scienziati citano tre principali cause per l'aumento osservato: la crescita dell'economia mondiale, l'aumento del consumo di combustibili fossili e di emissioni dal 2000, ed un calo di efficienza di mare e terraferma nell'assorbire l'anidride carbonica. Gli oceani sono infatti, in generale, dei "pozzi naturali" per la CO2, cioé assorbono la CO2 presente in atmosfera. Questo accade perché il fitoplancton - microscopici organismi che vivono vicino alla superficie dell'oceano - assorbe la CO2 atmosferica attraverso la fotosintesi. Alla fine del loro ciclo di vita - di solito solo pochi giorni - tali microorganismi sedimentano sul fondo dell'oceano, portando con sé la CO2 atmosferica sequestrata.

A corollario di questi inquietanti nuovi dati, la comunità scientifica sta discutendo animatamente su una gamma di soluzioni di geo-ingegneria, pilotate anche dall'eco-business. La speranza è che, intervenendo nell'eco-sistema marino, si possano invertire o stabilizzare i tassi di crescita del riscaldamento globale.

Da molto tempo gli scienziati sanno che la densità del fitoplancton negli oceani non è costante, e che ampie porzioni di oceano, conosciute sotto il nome di HNLC (high-nutrient, low-chlorophyll - letteralmente molti nutrienti - poca clorofilla) hanno densità estremamente basse di fitoplancton. Si ritiene che il motivo di tali anomalie sia dovuto alla carenza di ferro. Questa ipotesi fu in realtà formulata già nel lontano 1930 dallo scienziato inglese Joseph Hart, ma è stata dimostrata sperimentalmente soltanto negli anni '80 del 1900 dall'oceanografo americano John Martin, che misurò il contenuto di ferro nelle zone HNLC dell'oceano e trovò concentrazioni molto basse, quasi trascurabili. L'ipotesi di Hart era che il ferro finisse nell'oceano attraverso il trasporto delle polveri provenienti dalla terraferma, e che le zone HNLC fossero zone in cui il vento non trasportava ferro. Martin ha testato quesa ipotesi in Antartide scoprendo che il fitoplancton si sviluppava velocemente in contenitori di acqua di mare arricchiti di ferro.

Sulla scia di queste scoperte, all'inizio di novembre 2007, la società Planktos (una società di eco-recupero) ha organizzato uno studio pilota: la nave Weatherbird II è salpata alla volta delle acque tropicali dell'oceano Atlantico orientale con lo scopo di ripetere l'esperimento di Martin su una scala molto più grande, e cioè versando minerale di ferro in mare, nel tentativo di stimolare la crescita del fitoplancton, per valutarne gli effetti sulla vita marina.

George Russ, responsabile della Planktos, è stato coinvolto negli affari dei crediti di carbonio da oltre 30 anni, da quando creò una compagnia per la piantagione degli alberi in Columbia. Egli stima di aver piantato più di 250 milioni di alberi soltanto in Canada. Attualmente, la compagnia KlimaFa Ltd, che è da lui controllata, si occupa del ripristino delle foreste nell'Unione europea, riforestando oltre 100000 ettari di terreno in Ungheria. Dopo la ratifica del protocollo di Kyoto, Russ ha iniziato a pensare a nuovi modi per vendere i crediti di carbonio, e ha iniziato la ricerca sull'inseminazione del ferro negli oceani.

Russ è convinto che l'esperimento avrà successo. Russ ha aggiunto: "Questa potrebbe essere davvero un'incredibile soluzione. Nei cambiamenti climatici si parla di un punto di non ritorno, ma per quanto riguarda gli oceani e la vita negli oceani tale punto è già stato superato. 20 anni di lavoro e 100-200 milioni di dollari di investimenti da fondi pubblici hanno individuato questa soluzione come un modo per ripristinare la produttività del mare".

Ma la compagnia Planktos è tenuta d'occhio dai gruppi che non sono favorevoli all'idea del sequestro del carbonio. Le associazioni Greenpeace, WWF e Amici della Terra, in una dichiarazione congiunta nel mese di agosto 2006, avevano dichiarato che: "La tecnologia del sequestro del carbonio deve essere vista solo come una estrema risorsa", e che "l'acquisto di offset può essere visto come un modo facile per i governi, le imprese e le persone di continuare ad inquinare senza modificare il loro modo di fare affari o il loro comportamento".

Russ ha dovuto confrontarsi a lungo con i manifestanti che sostenevano che la tecnologia che Planktos sta sperimentando non è regolamentata. Egli ha affermato che "qualsiasi nuova tecnologia che produca offset nel cambiamento climatico deve passare attraverso una terza parte indipendente multi-tiered, che effettui un processo di certificazione trasparente. Questo, per qualsiasi nuova tecnologia, è il più rigoroso processo di regolamentazione sulla Terra". Tuttavia gli oppositori non si sono convinti. Russ ha detto che la Sea Shepherd Conservation Society, una società molto critica verso la Planktos, ha minacciato di intercettare la Weatherbird II qualora quest'ultima cercasse di intraprendere la ricerca.

Russ è convinto che questa tecnologia rappresenti la migliore speranza per il mondo. Egli ha affermato che "abbiamo già perso il 17% di tutta la vita vegetale nell'Atlantico, il 26% nel Pacifico settentrionale, mentre negli oceani sub-tropicali sono ormai scomparse oltre il 50% delle forme di vita vegetale". Lo studio pilota è stato programmato per durare diversi mesi ed i risultati saranno fortemente monitorati dagli scienziati.

In un'intervista alla CNN, Jef Huisman, Professore del "Institute for Biodiversity and Ecosystem Dynamics" in Olanda, ha dichiarato che su questo tipo di tecnologie "c'è molta discussione tra gli scienziati e vi sono opinioni discordi al riguardo. Sappiamo che potrebbero potenzialmente ridurre i livelli di emissioni di CO in atmosfera, ma non sappiamo quali siano le conseguenze".

Interrogato sulla ricerca che sta per essere condotta dalla Planktos, il professor Huisman ha detto: "credo che sia un'idea interessante, ma anche pericolosa. Interessante perché sappiamo che, se saremo in grado di aumentare la produzione primaria, ci sarà un maggiore assorbimento di biossido di carbonio da parte dell'oceano. Ma anche pericolosa. Succede la stessa cosa quando si fertilizza il suolo: cambierà l'ecosistema. Ma se abbiamo esperienza di ciò che accade in un prato, non sappiamo invece nulla di ciò che potrebbe accadere all'eco-sistema dell'oceano. Cosa succede se si fa l'inseminazione del ferro a grande scala? Non abbiamo idea di quali specie ne trarranno beneficio o se questo esperimento provocherà fioriture di alghe nocive". Il professor Huisman ritiene che, una volta che il ferro entra nell'oceano, ci sarà un forte aumento delle specie di fitoplancton. Afferma inoltre: "mi aspetto che le specie piccole di fitoplancton - quelle che hanno un tasso di crescita rapido - aumenteranno per prime, mentre poi aumenteranno le specie lente di plancton, quelle che catturano e iniziano a 'pascolare' sulle specie di fitoplancton".

A questo riguardo, il professor Huisman è un esperto di microbiologia acquatica, e la sua ricerca attuale riguarda il fenomeno del massimo profondo di clorofilla, uno strato di fitoplancton che si trova negli oceani tropicali e sub-tropicali. Egli ritiene che la fecondazione sugli studi di ferro dovrebbe essere fatta in vasche piene di acqua, prima che direttamente nel mare, ed afferma che "si potrebbe porre tutta la comunità delle forme di vita esistenti nell'oceano Pacifico in un serbatoio di 50 metri di profondità. In questo modo si potrebbe effetuare un esperimento controllato, ed inoltre il ferro non sarebbe diluito dalle correnti oceaniche".

Tuttavia, nonostante le opposizioni costanti degli eco-manifestanti e la cautela della comunità scientifica, l'atteggiamento di George Russ sulle potenzialità dell'inseminazione del ferro resta decisamente favorevole, quasi un po' "evangelico".

Egli afferma che "siamo tutti qui su richiesta delle piante verdi nell'oceano. Il 4% del pianeta è coperto da foreste pluviali, il 72% del pianeta è costituito da oceani. Negli ultimi cinque anni abbiamo perso una quantità di vita vegetale negli oceani paragonabile a quella di tutte le foreste pluviali". Se lo studio pilota avrà successo, Russ prevede che le navi container riporteranno i livelli di ferro negli oceani ai valori di 30 anni fa, ed afferma che "è l'unica grande speranza che abbiamo".

Secondo due eminenti ambientalisti britannici, l'aumento dell'assorbimento di CO2 da parte degli oceani potrebbe essere effettuato immergendo dei tubi verticali molto grandi sotto la superficie del mare.

James Lovelock, autore di diversi articoli nella rivista Nature ed ideatore dell'ipotesi di Gaia, e Chris Rapley, capo del Science Museum di Londra, sostengono che il pompaggio di acqua ricca di sostanze nutritive dalle profondità oceaniche verso la superficie permetterebbe all'oceano di assorbire una maggiore quantità di CO2. Per fare questo, l'idea è quella di avere letteralmente milioni di tubi - ognuno lungo 100 metri e largo 3 metri - che raggiungano le profondità oceaniche. In questo modo, secondo gli ideatori, si potrebbe sequestrare un importante frazione delle emissioni annue di anidride carbonica.

Il professor Huisman non è sicuro che il progetto funzionerà, ed al proposito ha affermato che "le concentrazioni di CO2 sono più elevate nei bassifondi oceanici, e l'effetto principale sarebbe che il biossido di carbonio delle profondità oceaniche sarebbe portato in superficie, il che è proprio il contrario di ciò che si vorrebbe". Tuttavia il suo atteggiamento rimane positivo riguardo all'"uso" degli oceani: infatti egli ritiene che "se si potesse aumentare l'assorbimento di CO2 da parte degli oceani, questo sarebbe veramente di aiuto per diminuire l'effetto serra".

Personalmente, essendoci dei dubbi sull'esito di tale sperimentazione, credo che sarebbe stato più opportuno operare in prima battuta in ambiente controllato (le grandi vasche citate da Huisman) per valutare i possibili benefici ed impatti di questa tecnica. Probabilmente i costi sarebbero stati inferiori ed eventuali fattori limitanti l'esperimento avrebbero potuto essere controllati meglio. Successivamente, se l'esperimento avesse dato esito positivo, si poteva pensare ad una fase successiva in cui condurre l'esperimento direttamente in oceano.

Tuttavia non vi è dubbio che un eventuale successo di questa tecnologia potrebbe avere ripercussioni rilevanti. I dati misurati quotidianamente ci informano che le concentrazioni di gas serra non solo sono in continuo aumento, ma aumentano addirittura ad un rateo crescente. Al momento attuale, nonostante gli sforzi profusi in molte direzioni, non si vede ancora come imminente un accordo globale internazionale atto a stabilizzare le emissioni di gas serra, per cui eventuali tecnologie che possano ridurre dette concentrazioni non potrebbero che avere un risvolto positivo.

Per concludere, uno scienziato ha sempre un atteggiamento di sospetto nei confronti delle ricerche eseguite da società che potrebbero avere un utile in eventuali risultati positivi delle ricerche stesse (conflitto d'interessi). Mi auguro quindi che, prima di essere diffusi alla stampa, i risultati scientifici derivanti da questa ricerca siano pubblicati su riviste scientifiche internazionali in modo da essere sottoposti al vaglio della comunità scientifica internazionale tramite il meccanismo del peer-review, in modo che possano essere valutati da terze parti non coinvolte.

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