Gli Stati-isola del Pacifico sono di fronte al rischio imminente di essere sommersi, ma i Paesi industrializzati stanno a guardare con indifferenza…

Torino, 19 aprile 2008

Gli Stati delle isole caraibiche e dell’oceano Pacifico (i cosiddetti Stati-isola) rischiano di rimanere sommersi a causa dell’innalzamento del livello del mare, che a sua volta è la conseguenza dei cambiamenti climatici. Le isole interessate sono “schierate al fronte” e stanno facendo una vera e propria lotta per la sopravvivenza. Da un lato, infatti, questi piccoli Stati, che rischiano letteralmente di sparire, richiedono un supporto ai Paesi già sviluppati. Dall’altro, questi ultimi, principali colpevoli delle emissioni di gas serra, mostrano un atteggiamento indifferente: infatti, i Paesi principali responsabili delle emissioni dell’80% dei gas serra si sono posti in posizione passiva davanti al tavolo dei negoziati per il supporto alle spese per il trasferimento degli abitanti dalle isole.

La voce disperata proveniente dagli Stati-isola si è fatta sentire in occasione dei “Working-Level Talks” della Convenzione Quadro delle Nazioni Uniti sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC), svoltasi a Bangkok tra il 31 marzo ed il 4 aprile del 2008. Durante questi colloqui, le isole caraibiche e del pacifico hanno espresso chiaramente i gravi problemi che le minacciano, come l’innalzamento del livello del mare, la maggiore frequenza e violenza di alluvioni e cicloni tropicali. I rappresentanti delle isole hanno anche sostenuto che, malgrado l’aumento delle conseguenze catastrofiche di tali problemi, esse non sono economicamente in grado di provvedere alla costruzione delle dighe o al trasferimento degli abitanti a rischio. Inoltre, secondo la dichiarazione finale del vertice climatico delle Nazioni Unite di Bali del dicembre scorso (già ribattezzata “Bali roadmap” – si veda questo sito e anche il mio pezzo del 6 dicembre 2007), anche i Paesi in via di sviluppo devono intraprendere delle “azioni appropriate” per ridurre i gas-serra. Ricordiamo che la “Bali roadmap” è una cosa diversa dal protocollo di Kyoto: innanzitutto si riferisce al futuro (il protocollo di Kyoto riguarda il periodo 1997-2012, mentre la Bali roadmap si riferisce al periodo successivo al 2012), e poi riguarda tutti i Paesi (mentre il protocollo di Kyoto imponeva soltanto ai Paesi sviluppati di diminuire la produzione di gas serra, la Bali roadmap impone delle azioni anche ai Paesi in via di sviluppo: si veda per esempio questo sito).

Alla conferenza di Bali hanno partecipato 187 Nazioni, che hanno concordato nel far partire dei negoziati su alcune tematiche. In particolare, quelle da negoziarsi entro il 2009 sono state definite in dettaglio, e sono: azioni per l’adattamento alle conseguenze negative dei cambiamenti climatici (come siccità ed alluvioni); modalità per la riduzione delle emissioni di gas-serra; modalità per sviluppare estensivamente tecnologie rispettose del clima e per finanziare le misure sia di adattamento sia di mitigazione. La conclusione dei negoziati entro il 2009 potrebbe assicurare che i nuovi trattati diventino operativi entro il 2013, quindi dopo la fine della prima fase del protocollo di Kyoto. In particolare, i dettagli principali della Bali roadmap possono essere così riassunti:


Paesi industrializzati Ogni Paese deve attuare impegni o azioni appropriate di mitigazione, come la riduzione delle emissioni di gas serra, quantificati con misurazioni affidabili, rapporti e verifiche. Dopo che sono stati decisi gli impegni e le azioni, ogni Paese deve rispettarli. Tutti i Paesi sviluppati si impegnano a rispettare tale decisione (anche gli USA, non soltanto quelli che hanno ratificato il protocollo di Kyoto)
Paesi in via di sviluppo Ogni Paese attuerà azioni appropriate di mitigazione nel contesto di uno sviluppo sostenibile, con il supporto della tecnologia e finanziamento (da parte dei Paesi industrializzati) in modo da poter mantenere una crescita economica continua; tali azioni dovranno essere effettuate in modo misurabile, verificabile e documentabile
Piano dei fondi supplementari Un accordo nel quale è delineato un piano per aiutare l’adattamento nei paesi in via di sviluppo
Trasferimento della tecnologia Si stabilisce che, sulla base di nuovi argomenti, venga effettuato un trasferimento di tecnologie dall’istituto sussidiario di consulenze scientifiche e tecnologiche agli esperti dell’istituto sussidiario per l’esecuzione, i quali discuteranno lo sviluppo ed il trasferimento della tecnologia
Prevenzione della deforestazione Amplificazione degli incentivi non solo al fine di prevenire la deforestazione ma anche per la prevenzione della degradazione forestale e la conservazione delle foreste
 

Gli Stati-isola, al fine di far fronte comune per combattere gli effetti del riscaldamento globale, pertanto, possono sviluppare strategie di adattamento alle crisi attuali con l’aiuto dei Paesi più ricchi. Sellwin Hart, delegato della piccola isola di Barbados nei Caraibi, ha detto: “non vale la pena di partecipare alla convenzione quando non si parla dell’adattamento”. C’è una voce minacciosa in giro secondo la quale le isole non firmeranno la nuova convenzione sui cambiamenti climatici se non riceveranno nessun soldo dai Paesi più ricchi per l’adattamento.

Tuttavia, i cosiddetti “Paesi industrializzati”, intanto, mostrano indifferenza nel discutere con gli Stati-isola. Negli USA (New York, 2-3 marzo 2008) c’è stata la “International Conference on Climate Change” alla quale hanno partecipato 16 Paesi che da soli sono responsabili dell’80% delle emissioni di gas serra nel mondo. Il vertice del G8 (che, come è noto, raggruppa i sette Paesi più industrializzati del mondo – USA, Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone e Regno Unito – più la Russia) tenutosi l’anno scorso (6-8 giugno 2007) ad Heiligendamm, in Germania, ha deciso di aprire una sessione secondaria per parlare a parte dei cambiamenti climatici. Il Giappone, che ospiterà il vertice nel luglio 2008 ad Hokkaido, ha invitato, oltre agli 8 Paesi più industrializzati, anche la Corea del Sud, la Cina, l’Australia ed alcuni Paesi nella sessione. Poiché gli Stati-isola sono stati esclusi da entrambe le conferenze – 2007 e 2008 – del G8, non esitano ad esprimere il loro malcontento. Espen Ronneberg, un consulente del AOSIS (the Alliance Of Small Island States), ha affermato: “ci vuole un consenso comune per quanto riguarda l’ambito dei cambiamenti climatici. È inutile procedere a discussioni separate quando manca il consenso generale”. 

La condizione disperata degli Stati-isola, fino ad ora, non lascia presagire un miglioramento a breve. Il fatto che il nuovo accordo dell’UFCCC sarà definito soltanto a partire dalla fine del 2009 (se tutto andrà per il meglio) fa capire che il futuro degli Stati-isola rimarrà oscuro. L’UNDP (United Nations Development Programme) ha calcolato che il costo dell’adattamento per gli Stati-isola per i Paesi in via di sviluppo è pari a 86 miliardi di dollari al mese. Fino ad ora, questa organizzazione è riuscita a raccogliere fondi per un massimo di 15 miliardi di dollari. 

Ora, ci sono due metodi per raccogliere i fondi. Il primo, suggerito dall’Unione Europea, prevede che i fondi provengano dal profitto nel mercato delle emissioni (Carbon dioxide Trading). L’altro, invece, suggerito da Usa, Giappone ed Inghilterra, sarebbe sotto forma di donazione di fondi per tecnologie più “pulite”. I fondi provenienti dal Carbon dioxide Trading potrebbero essere un metodo vantaggioso per i Paesi in via di sviluppo, invece la donazione di fondi per lo sviluppo di tecnologie pulite potrebbe essere un metodo lucrativo per quanto riguarda il capitale.

I paesi industrializzati, compresi gli USA, tenendo conto del fatto che la Cina sarà il primo Paese emettitore di gas-serra nel giro di pochi anni, insistono che i Paesi in via di sviluppo debbano partecipare concretamente alla campagna mondiale di riduzione dei gas-serra. Per contro, la Cina e altri Paesi in via di sviluppo chiedono un supporto volontario dei fondi ed il trasferimento delle tecnologie ambientali. Inoltre, chiedono anche ai Paesi più ricchi, considerati “avari”, che ogni Paese industrializzato doni fondi per l’equivalente dello 0,5% del GDP (il nostro PIL) per i costi dell’adattamento.

Questo articolo è un'integrazione di un testo tratto da un comunicato stampa di KMA (Korean Meteorological Administration), in coreano (per la cui traduzione si ringrazia Baek Nan-Young).



I delegati alla conferenza di Bali applaudono la decisione di adottare la "Bali roadmap" per un futuro accordo internazionale sui cambiamenti climatici (dal sito UNFCCC)

Un altra immagine del meeting di Bali (da Il Sole 24 Ore)

Un'immagine della conferenza di Bangkok (dal sito UNFCCC). Su questo sito è presente anche tutta la documentazione.

Un'immagine del vertice G8 2007 ad Heiligendamm (dal sito del G8)
 

Indietro (pagina dei pensieri)