"Cambiamenti climatici e rischio glaciale": la conferenza di Gianni Mortara a Torino

Torino, 6 giugno 2008

Oggi il dr. Gianni Mortara, geologo del CNR-IRPI di Torino, ha tenuto la dodicesima conferenza nell'ambito della mostra sui cambiamenti climatici al Museo di Scienze Naturali di Torino intitolata “I tempi stanno cambiando”. Come al solito, riporto qui di seguito un breve riassunto degli argomenti trattati.

Nel momento di massima espansione glaciale, all'incirca tra 20000 e 15000 anni fa, le Alpi e le Prealpi erano interamente ricoperte da una coltre glaciale, di spessore variabile tra qualche centinaio di metri e più di 1 km, che arrivava fino agli sbocchi delle valli in pianura: ad esempio, la provincia di Torino era caratterizzata da due lingue glaciali: una proveniente dalla Valsusa e l'altra dalla Val d'Aosta. Al giorno d'oggi, ci sono soltanto circa 500 chilometri quadrati residui di questa enorme coltre glaciale, appollaiati sui massicci rocciosi più alti della catena alpina.

L'azione del ghiacciaio, dal punto di vista geologico, può essere vista dal punto di vista di un agente modellatore del paesaggio da esso occupato, sia attraverso la levigazione prodotta dallo scorrimento del ghiaccio sul terreno, sia attraverso la creazione delle morene glaciali ai fianchi ed al termine delle lingue di ghiaccio. Dal punto di vista ecologico, un ghiacciaio è inoltre un bene ambientale, mentre altri lo considerano come una palestra sportiva su cui esercitarsi. Inoltre, un ghiacciaio può essere anche considerato come un'importante risorsa energetica. In percentuale, sulle montagne è contenuta sotto forma di ghiacciai una percentuale veramente esigua della superficie glaciale terrestre: soltanto lo 0,5%. La riserva idrica del più grande circo glaciale alpino in territorio italiano, e cioè quello del Monte Rosa, è stimata in 1,2 miliardi di m³, cioè circa quattro volte il contenuto d'acqua dell'invaso del Moncenisio. Questo dato viene un po' a sfatare, se vogliamo, il timore che il riscaldamento globale in atto possa provocare una grave riduzione delle risorse idriche da ghiaccio. Infatti, il problema reale non è tanto quello della diminuzione del volume glaciale quanto quello della diminuzione del volume di neve invernale presente sulle Alpi, che costituisce la vera risorsa idrica delle popolazioni subalpine, così come anche quello della variazione del regime delle precipitazioni durante la stagione estiva.

I ghiacciai possono inoltre essere utilizzati anche come ottimi indicatori climatici, soprattutto per quanto riguarda la criosfera, cioè l'insieme di neve, ghiaccio e permafrost, sia per quanto riguarda i cambiamenti climatici in atto, sia per quanto riguarda quelli avvenuti nel passato. Ad esempio, un recente studio nell'ambito del progetto PERMAdataROC ha mostrato che un incremento di solamente 1°C di temperatura può comportare una variazione della quota corrispondente all'isoterma di 0°C di oltre 200 m, con una conseguente degradazione del permafrost. Considerando che le previsioni dei modelli climatici per la fine del prossimo secolo indicano un incremento di temperatura tra 1.8°C e 4°C, questo implicherebbe una risalita della "quota permafrost" tra i 250 e 700 m rispetto al limite attuale.

Un altro aspetto che rende i ghiacciai molto studiati è quello legato ai fenomeni violenti di distacchi e crolli. Mortara ha mostrato alcuni esempi di eventi di distacco e crollo di porzioni di ghiacciai avvenuti sulle Alpi. Un esempio tipico è quello del ghiacciaio superiore di Coolidge, sul Monviso, avvenuto nel luglio 1989, che ha completamente distrutto il sentiero di salita. 200,000 m³ di ghiaccio sono precipitati dalla nicchia di distacco, collocata a 3195 m di altitudine, accumulandosi nella valle sottostante, a partire da una altitudine di 2500 m. L'esame di alcune vecchie fotografie scattate nel 19° e nel 20° secolo ha permesso di ricostruire l'evoluzione dello spessore di questo ghiacciaio dal 1882 al 1989, evidenziando la riduzione della massa di ghiaccio e del suo spessore, e la criticità del ghiacciaio sospeso nei mesi precedenti al distacco. Il distacco del 1989 si è verificato durante un evento di pioggia estiva ad alta quota (lo zero termico si trovava a quote superiori a 4000 m).

Un altro esempio, questa volta drammatico, di distacco è quello che ha coinvolto il ghiacciaio di Allalin nell'agosto 1965, nei pressi del cantiere di Mattmark, causando 88 vittime. Questo fu anche uno dei primi episodi che preludevano al successivo inizio della ritirata di tutti i ghiacciai alpini. In questo caso, il volume di ghiaccio coinvolto nel distacco fu di circa un milione di metri cubi.

Mortara ha poi sottolineato come il rischio di crolli sia particolarmente grave quando l'area di accumulo viene a coincidere con un invaso di laghi alpini o di bacini idroelettrici artificiali, a causa del rischio di esondazione improvvisa dell'acqua contenuta nel bacino stesso (un po' quello che è accaduto nel tristemente noto episodio del Vajont). Alcuni esempi tipici di bacini potenzialmente a rischio sono quelli del ghiacciaio di Giétro e del ghiacciaio della Croce Rossa, a 3380 m di quota.

La pericolosità dei crolli non riguarda soltanto i ghiacciai, ma anche il terreno, o meglio la roccia, soprattutto tenendo conto del fatto che, a causa del riscaldamento globale degli ultimi decenni e del conseguente arretramento dei ghiacciai, estese porzione di suolo formato da materiale non aggregato sono rimaste esposte all'azione degli agenti atmosferici. Inoltre, l'incremento della temperatura ha fatto sì che, talora, si sia fuso anche il ghiaccio presente nelle fessure e negli interstizi della roccia, che agiva da collante, dando il via a ulteriori fenomeni di sgretolamento. Sono queste le cause principali dei numerosi crolli di materiale roccioso, talora imponenti, che si sono verificati sempre più frequentemente negli ultimi vent'anni. Tra le altre, ricordiamo quello che ha distrutto nell'agosto 2003 la via d'accesso al Cervino  (circa 3800 m), quello del Bernina (rifugio Marco e Rosa, 3609 m), quello dello Sperone della Brenva (1997), quello di Punta Thurwieser (nel settembre 2004), e quello del versante ovest dei Drus (se nel giugno 2005).

Un altro aspetto interessante e pericoloso che coinvolge i ghiacciai è quello dei laghi che si formano in prossimità dei ghiacciai stessi. Di per sé, un lago non è pericoloso; lo diventa se il suo contenuto di acqua è ragguardevole e contemporaneamente se i suoi argini sono instabili. Quando una parte degli argini è formata da ghiaccio, la situazione è instabile. Infatti, come è noto, la densità dell'acqua è massima a 4 °C, per cui l'acqua con questa temperatura, se è presente, stazionerà sempre sul fondo del lago, e se questo è formato da ghiaccio, continuerà progressivamente a fonderlo, approfondendo il lago stesso ed erodendo il suo argine, indipendentemente dalla temperatura superficiale del lago.

In un periodo, come quello attuale, caratterizzato da un rapido riscaldamento e dal conseguente arretramento dei ghiacciai, sono diversi i casi in cui si è notata la formazione dei cosiddetti laghi epiglaciali, ovvero laghi "incastonati" tra un ghiacciaio e la sua sponda, o all'interno del ghiacciaio stesso. In alcuni casi, questi laghi sono soggetti naturalmente a cicli di svuotamento "non violenti", come nel caso del lago del Miage (settembre 2004). In altri casi, invece, tali laghi sono cresciuti ingrandendosi di anno in anno fino a costituire un pericolo per la popolazione dei paesi sottostanti nel caso in cui si fosse verificata una rottura improvvisa degli argini di ghiaccio. Un esempio tipico è quello del lago del ghiacciaio del Rocciamelone, in territorio francese ma al confine con l'Italia, che nel 2000 era lungo 600 m, largo 150 m e profondo 25 m, e conteneva un volume d'acqua stimato di 650,000 m³. L'esplosione della diga di ghiaccio e il rilascio istantaneo dell'acqua del lago avrebbe convogliato una piena distruttiva verso il paese francese di Rossans, con una velocità stimata di 15 m/s e una portata massima di 1000 m³/s, con un rischio molto concreto di danni e perdite di vite umane. Per questo motivo, questo lago venne svuotato artificialmente dapprima mediante un sistema a sifone e successivamente mediante lo scavo di un canale drenante nel ghiaccio, grazie a una collaborazione italo-francese (per l'Italia, la SMI e il CNR).

Tra i vari ghiacciai italiani, sicuramente il Monte Rosa, e in particolare il suo versante nordorientale, che comprende il ghiacciaio del Belvedere, rappresenta un laboratorio naturale senza uguali nelle Alpi. Tra le altre cose, il ghiacciaio del Belvedere è stato recentemente studiato in modo particolare poiché, a cavallo tra il 1990 e il 2000, era l'unico ghiacciaio italiano, e uno dei pochi nel mondo, che mostrava segni di avanzamento anziché di regresso come tutte gli altri. In realtà, si è scoperto che questo avanzamento non era un segnale di crescita, come inizialmente si poteva pensare, ma era dovuto al fatto che l'aumento della temperatura aveva reso il ghiaccio più fluido, e quindi, in corrispondenza delle lingue glaciali terminali, molto pendenti, si era registrato un incremento del flusso. La massa totale del ghiacciaio, tuttavia, era in regresso. Tra il 2001 e il 2002, in corrispondenza di un cambio di pendenza verso il termine della lingua più lunga, iniziò a formarsi un lago, poi diventato famoso come il nome di lago del Belvedere o lago effimero, completamente circondato da ghiaccio. Anche in questo caso, la pericolosità dovuta al quantitativo ingente di acqua presente nel lago che avrebbe potuto riversarsi in modo improvviso a bassa quota in caso di rottura degli argini del lago stesso fece iniziare delle operazioni per lo svuotamento del lago, ma in questo caso pochi mesi dopo il lago si svuotò da solo in modo naturale e indolore per infiltrazione.

In ogni caso, la parete orientale del Monte Rosa, molto ripida e interessata da una diminuzione consistente della sua copertura di ghiaccio nell'ultimo secolo, presenta diversi punti sensibili e possono costituire un rischio a causa delle possibili valanghe di ghiaccio o dei crolli di roccia o di entrambe le cose. La modificazione dell'ambiente alpino indotta dai cambiamenti climatici recenti si riflette pesantemente anche sulle attività umane, creando problemi di stabilità per le strutture in alta quota (rifugi, capanne, ecc.), e difficoltà di accesso ai rifugi e di percorrenza degli itinerari classici di avvicinamento alle cime (a causa delle frane o dell'instabilità della roccia stessa). Anche il cambiamento stesso del paesaggio causato dall'arretramento dalla scomparsa dei ghiacciai modifica il grado di attrazione turistica (si pensi alla perdita di attrattiva delle strutture alberghiere con belvedere sui ghiacciai, senza più i ghiacciai), e anche le strutture stesse, ad esempio quelle per la pratica dello sci estivo, rischiano di diventare inutilizzabili (si pensi, ad esempio, a quelle presso il ghiacciaio di Indren).

Il messaggio finale del dottor Mortara al termine di questa conferenza riprende un'affermazione di Teogene di Megara, un filosofo vissuto nel 550 a.C.: "è impossibile annullare quanto accaduto, ma di ciò che accadrà ora occupiamoci con ponderatezza". Se ci pensiamo, in fondo, questo è lo stesso messaggio contenuto nei consigli per i politici dell'IPCC: adattamento e mitigazione.

La prossima conferenza, "Dalle glaciazioni del passato alle serre del futuro", sarà tenuta dal prof. Michael Ghil, dell'Ecole Normale Superieure di Parigi, il prossimo 11 giugno, sempre alle 17.45, al museo.

Le figure che seguono sono state tratte dalla presentazione di Mortara
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 Distribuzione dei ghiacciai alpini durante la fase terminale dell'ultima glaciazione (in alto) e ai nostri giorni (in basso, in azzurro).

Splendide immagini di alcuni ghiacciai in diversi posti del mondo.

Queste due immagini mostrano la funzione di un ghiacciaio come agente modellatore del paesaggio attraverso l'approfondimento di una valle, la creazione delle morene laterali e frontali, i massi erratici e così via.


Distribuzione della temperatura media nel suolo relativa al decennio 1990-99 sui due versanti della catena che circonda la stazione meteorologica di Corvatsch (a sinistra). La stessa distribuzione prevista nel caso in cui la temperatura media dell'area aumenti di 1°C (a destra). Le figure si basano su una simulazione modellistica di J. Noetzli, mentre l'aumento di 1 °C è in linea con le previsioni minime dell'IPCC per gli scenari del prossimo secolo. Si nota come il livello del permafrost subirebbe una risalita tra 250 e 700 m (si veda la variazione dell'isoterma di 0°C) e rischierebbe di sparire per il 70% in questo caso.

Il distacco del ghiacciaio superiore di Coolidge sul Monviso nel luglio 1989. Le due foto a sinistra (scattate rispettivamente nel 1987 e nel 1989) mostrano la porzione di ghiacciaio distaccatasi durante l'evento, già preannunciata dall'evidente crepaccio che delimita l'area del successivo distacco. Nella foto a destra si vede invece l'area di accumulo della massa glaciale.

La sezione del ghiacciaio superiore di Coolidge ricostruita a partire da diverse fotografie scattate nel secolo precedente: si nota lo spessore esiguo della calotta glaciale nella sua parte terminale nel 1989, probabilmente causata dalle intense piogge estive ad alta quota.

Questa foto evidenzia l'area interessata dal crollo di una parte del ghiacciaio di Allalin il 30 agosto 1965, che mobilizzò quasi un milione di metri cubi di ghiaccio e terriccio causando danni ingenti e 88 vittime, lambendo il cantiere di Mallmark. In basso a destra si può intravvedere l'imbocco del tunnel del Monte Bianco.

La foto mostra il ghiacciaio della Croce Rossa, a strapiombo sul lago sottostante. In particolare, la porzione evidenziata nel cerchio rosso evidenzia il ghiacciaio sospeso che rappresenta il fattore più critico.

La foto evidenzia il rumoroso crollo roccioso avvenuto nell'agosto 2003, che ha provocato la chiusura della via d'accesso. Sulla destra, un ingrandimento dell'area evidenziata a sinistra nel rettangolo rosso, mostra la fase del distacco.

Distacco di una porzione rocciosa avvenuto sulla "Cheminée" nell'agosto 2003 al di sotto del rifugio Carrel (a 3830 m di quota, visibile nella foto a sinistra in alto al centro). La zona di distacco è evidenziata da un asterisco rosso. Al di sotto della porzione rocciosa è evidente una lama di ghiaccio. Le foto sono state scattate da M. Scolari (sinistra) e da L. Trucco (destra, 18 agosto 2003).

Il lago epiglaciale del Rocciamelone, in territorio francese ma appoggiato al confine Italia-Francia, già evidente nel 2000, fotografato nell'agosto 2001. Si nota nella foto a destra l'instabile argine glaciale che contiene il lago. Il rischio è accresciuto dalla possibilità che qualche iceberg blocchi il normale canale di deflusso del lago (verso l'Italia), causandone un incremento del livello. Il volume del lago crebbe fino al 2004, anno in cui il rischio di rottura della diga fece iniziare i lavori di svuotamento. Tutte le foto sono state scattate dalla SMI.

Il lago effimero del Belvedere, sulle pendici del Monte Rosa, all'interno di una lingua di ghiaccio dell'omonimo ghiacciaio, fotografato nel 2001, quando si era formato da poco all'interno di un'insenatura a mezzaluna, e l'anno successivo. Anche in questo caso, il pericolo di una rottura degli argini del lago fece iniziare i lavori di svuotamento, molto complicati dalla localizzazione del lago, ma fortunatamente il lago si svuotò da solo in modo naturale ad opera di un'infiltrazione all'interno del ghiaccio.

Evidenza dei punti sensibili, cioé "a rischio", sulla parete orientale del Monte Rosa (foto: Fischer).

L'hotel Belvedere sul ghiacciaio del Rodano, a 2220 m di quota, come appariva nel 1907 (sopra, da una cartolina illustrata dell'epoca) e come appare in epoca recente (sotto: il ghiacciaio non c'è più!).

Un'immagine del ghiacciaio come appariva nel 1820 (da un dipinto), nel 1993 (da una foto presa con la stessa angolazione), e come è previsto che appaia tra qualche decina d'anni. L'enorme lingua glaciale che all'inizio del 19° secolo avvolgeva l'abitato sulle colline in primo piano appare in forte ritirata e molto assottigliata 15 anni fa (l'assenza di pericolo ha favorito l'ingrandimento delle strutture edilizie sulle colline), mentre per i prossimi decenni si prevede l'interruzione della lingua in prossimità del cambio di pendenza della valle, con la conseguente fusione del ghiacciaio morto residuo. 
 
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