Perché il nucleare è una scelta strategicamente sbagliata

Riporto qui di seguito il testo di una lettera inviata dal Prof. Vincenzo Balzani e da diversi altri firmatari al Presidente del Consiglio sull'argomento energia nucleare ed energie alternative. La scelta di diffondere questo messaggio deriva dal fatto che ne condivido pienamente i contenuti. Del resto, già in tempi precedenti (si veda ad esempio questo post), avevo espresso delle perplessità sull'orientamento dei nostri governanti in campo energetico. La speranza è che il tempo aiuti a favorire una discussione chiara e seria su queste importanti tematiche, che coinvolga tutti gli esperti di tutti i settori,in modo da riuscire a compiere delle scelte in materia energetica nel nostro Paese che non lo penalizzino nel futuro.

8 maggio 2009

 

Al Presidente del Consiglio dei Ministri
on. Silvio Berlusconi
 
e, p.c.,
al Ministro dell’Economia e delle Finanze
on. Giulio Tremonti
 
al Ministro dello Sviluppo Economico
on. Claudio Scajola
 
al Ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca
on. Mariastella Gelmini
 
al Ministro per l’Ambiente, la tutela del Territorio e del Mare
on. Stefania Prestigiacomo

Lettera Aperta

 

Energia per il futuro:

Ecco perché il nucleare è una scelta strategicamente sbagliata

 

Onorevole Presidente,

 
Come abbiamo già avuto modo di sottolineare nell’appello www.energiaperilfuturo.it rivoltoLe nel giugno scorso e in successive lettere, il nostro Paese, ancor più urgentemente di altri, deve prendere importanti decisioni riguardo al problema energetico. Più del 90% dell’energia utilizzata in Italia è fornita dai combustibili fossili (petrolio, gas naturale, carbone), per la quasi totalità importati. Si tratta di risorse non rinnovabili e quindi destinate a diventare sempre più scarse e costose sui mercati mondiali, e sempre più contese, fino al limite di azioni di guerra, nel complesso scenario politico internazionale. Questa situazione di deficit energetico comporta per il nostro Paese non solo spese enormi per l’acquisto dei combustibili fossili, ma anche, cosa ancor più inquietante, la quasi completa dipendenza da altre nazioni. A tutto ciò si deve aggiungere che l’uso dei combustibili fossili deve essere fortemente ridotto poiché causa la produzione di gas serra, problema che la comunità internazionale, a cominciare dall’Unione Europea, sta cercando di tenere sotto controllo per evitare cambiamenti climatici che potrebbero essere drammatici.

La progressiva diminuzione nell’uso dei combustibili fossili, che viene perseguita a livello globale per ragioni ecologiche ed etiche, nel nostro Paese si impone anche per motivi economici e di indipendenza energetica. Per risolvere questo problema bisogna compiere scelte strategiche che non potranno essere sostanzialmente modificate nei prossimi anni, se non causando gravi danni economici. La scelta della strategia da seguire è ancora più importante se si considera che essa dovrà offrire l’opportunità di rilanciare lo sviluppo dell’occupazione e del benessere sociale.

  

Risparmio, efficienza e nuove fonti di energia

Fino ad ora la politica adottata in Italia, e in parte anche in altri paesi sviluppati, è sempre stata quella di coniugare lo sviluppo e il benessere alla crescita dei consumi energetici: conseguentemente si aumenta l’offerta di energia (importata) per far fronte all’aumento dei consumi. Continuare in questo modo significa correre verso un collasso economico, ambientale, e sociale. Oggi la prima cosa da fare è mettere in atto provvedimenti mirati a consumare di meno, cioè a risparmiare energia e ad usarla in modo più efficiente. Autorevoli studi mostrano che nei paesi sviluppati circa il 50% dell’energia primaria viene sprecata e che è possibile diminuire i consumi energetici in modo sostanziale con opportuni interventi quali l’isolamento degli edifici, il potenziamento del trasporto pubblico, lo spostamento del traffico merci su rotaia e via mare, l’uso di apparecchiature elettriche più efficienti, l’ottimizzazione degli usi energetici finali. Anche in sede europea una delle strategie adottate per limitare la produzione di gas serra è di ridurre il consumo di energia (20% in meno entro il 2020).

Ovviamente risparmio ed efficienza, seppure molto importanti, non sono sufficienti per perseguire l’obiettivo di una progressiva, ma decisa diminuzione dell’uso dei combustibili fossili. E’ quindi necessario ricorrere ad altre fonti di energia.

  

L’opzione nucleare

In Italia, il Governo ha annunciato di voler costruire centrali nucleari e recentemente i giornali hanno parlato di una bozza di accordo preliminare con la Francia per l’acquisto di quattro centrali di tipo EPR da 1650 MW ciascuna. Per sostenere questa scelta si fa ricorso ad argomentazioni che a prima vista possono apparire fondate, ma che in realtà sono facilmente confutabili sulla base di dati ampiamente disponibili nella letteratura scientifica ed economica internazionale.

Vediamone alcune.

Si dice, ad esempio, che l’energia nucleare è in forte espansione in tutto il mondo e che quindi dovrebbe essere sviluppata anche in Italia. In realtà, dal 1990 il numero di centrali nel mondo è sostanzialmente stabile attorno alle 440 unità e nei prossimi anni le centrali nucleari che saranno spente per ragioni tecniche od economiche sono in numero maggiore di quelle che entreranno in funzione. In Europa la potenza elettrica delle centrali nucleari è scesa dal 24% nel 1995 al 16% nel 2008. Questo declino avviene perché la scelta del nucleare non è economicamente conveniente in un regime di libero mercato. Se le casse statali non garantiscono la copertura degli enormi costi dell’intero ciclo industriale, in particolare quelli a monte e a valle (costruzione e dismissione), nonché la copertura assicurativa nelle eventualità di incidenti gravi, nessuna impresa privata è disposta a investire in progetti a cui sono connessi rischi di varia natura, a cominciare dalla incertezza assoluta sui tempi di realizzazione.

Si dice anche che lo sviluppo dell’energia nucleare è un passo verso l’indipendenza energetica del nostro Paese. Premesso che le quattro centrali previste nel piano del Governo produrrebbero solo il 14% dei consumi elettrici, corrispondenti ad un modesto 3,2% dei consumi energetici finali italiani, bisogna ricordare che il nucleare usa come combustibile l’uranio, una risorsa che non è presente né in Italia, né negli altri Paesi europei. Quindi, nella misura in cui il settore elettrico si volesse liberare dalla dipendenza dei combustibili fossili utilizzando energia nucleare, finirebbe per entrare in un’altra dipendenza, quella dall’uranio, anch’esso da importare come i combustibili fossili.

Si sostiene che con l’uso dell’energia nucleare si salva il clima perché non si producono gas serra. E’ vero che durante il funzionamento delle centrali nucleari non vengono emessi gas serra. Le centrali nucleari, però, per essere costruite, alimentate con uranio, liberate dalle scorie che producono e, infine, smantellate, richiedono un forte investimento energetico, in gran parte basato sui combustibili fossili. Si stima infatti che, considerando tutto il ciclo del processo, la quantità di CO2 generata per la produzione di energia nucleare sia circa il 30% di quella generata, per produrre la stessa quantità di energia, da una centrale a gas.

Si dà per certo che lo sviluppo dell’energia nucleare oggi non crea problemi di sicurezza. Non c’è dubbio che attualmente le centrali nucleari abbiano standard di sicurezza elevati, ma un incidente causato dal fattore umano non si può mai escludere totalmente. C’è poi il grave problema delle scorie, radioattive per decine e centinaia di migliaia di anni, che dovrebbero essere collocate in depositi “sicuri” per un tempo praticamente infinito. Questo problema non è stato risolto neppure negli Stati Uniti, il paese tecnologicamente più avanzato. Il ciclo industriale del nucleare civile, dopo 60 anni di promesse non mantenute, resta ancora aperto. Questo comporta enormi costi economici a carico della collettività, gravi responsabilità etiche nei confronti delle future generazioni e rischi oggettivi di proliferazione nucleare a scopi bellici o terroristici.

Si afferma che la Francia, grazie al nucleare, è energicamente indipendente e dispone di energia a basso prezzo. In realtà la Francia, nonostante le sue 59 centrali nucleari, importa addirittura più petrolio dell’Italia, perché con il nucleare non si producono combustibili. E’ vero che la Francia importa il 40% in meno di gas rispetto all’Italia, ma è anche vero che è costretta ad importare uranio poiché le sue miniere si sono esaurite negli anni ’80-’90. La carenza di uranio è dimostrata dal vertiginoso aumento del suo costo che, negli ultimi dieci anni, è passato da 20 $/kg a 200 $/kg. Quanto al costo dell’energia elettrica, esso dipende da molti fattori e certamente non è più basso in proporzione alla frazione di energia prodotta per via nucleare. Ad esempio, il prezzo dell’energia elettrica è minore in Spagna, dove solo il 18% dell’energia elettrica è prodotta per via nucleare, che in Francia (78 % nucleare).

Si sostiene che questa è una fase di transizione verso reattori nucleari che permetteranno di riprocessare le scorie prodotte dai reattori attuali. Questa tecnologia, estremamente costosa e pericolosa, riduce solo in parte il problema delle scorie e potrà essere applicata, semmai sarà disponibile, solo fra 30-40 anni.

  

I costi del nucleare

L’argomento apparentemente più convincente a favore dello sviluppo del nucleare in Italia è quello basato su considerazioni economiche: secondo le voci ufficiali si possono costruire quattro centrali EPR, per un totale di 6400 MW di potenza, con 12-15 miliardi di euro. In realtà, non solo tutto lascia prevedere che il costo per la sola costruzione sarà di gran lunga maggiore della cifra indicata, ma c’è anche la certezza di aprire una partita il cui costo finale è oggi incalcolabile.

In passato negli USA i costi reali per la costruzione delle centrali nucleari si sono rivelati, in media, del 200-250% superiori ai costi inizialmente previsti. Oggi, sempre negli Stati Uniti si valuta che il costo del nucleare sia fra i 7,5-8 miliardi di dollari per 1000 MW, cifre che portano a circa 45 miliardi di euro la spesa per le quattro centrali programmate in Italia. Nulla, inoltre, è stato precisato circa il "sistema" necessario per alimentare e sostenere la produzione nucleare: per esempio, quello relativo al processo di arricchimento e produzione del combustibile, che andrebbe costruito da zero con ulteriori costi iniziali per il programma. Esperienze recenti hanno anche insegnato che il costo per la dismissione e lo smantellamento delle centrali nucleari è enorme a causa dell’alta radioattività dei materiali da rimuovere. In alcuni paesi lo smantellamento viene rimandato (per un minimo di 50 anni in Francia, fino a 130 in Gran Bretagna), in attesa che la radioattività diminuisca e nella speranza che gli sviluppi nella tecnologia di decontaminazione e dei robot rendano più facili le operazioni. In altri casi la centrale viene semplicemente “tombata”, cioè ricoperta di cemento senza eliminare la radioattività. Un bel regalo per le generazioni future!

Ancor più complesso è il problema delle scorie radioattive. L’unico deposito permanente che era in costruzione, quello di Yucca Mountain nel Nevada, è stato abbandonato dopo aver speso inutilmente circa 100 miliardi di dollari. Sempre riguardo ai costi finali, va aggiunto che negli ultimi 10 anni solo negli Stati Uniti sono state chiuse prematuramente parecchie centrali per ragioni economiche o tecniche, destino che ha colpito anche centrali di altri paesi.

Sulla base di quanto sopra riportato si deve concludere che il costo totale effettivo (dalla costruzione, al combustibile, alla sistemazione delle scorie e allo smantellamento) delle quattro centrali previste in Italia non sarà inferiore ai 40-50 miliardi di euro e, che, anche limitandosi al puro aspetto economico, la loro costruzione lascerà aperta una serie di problemi di estrema gravità. E’ lecito allora chiedersi se l’opzione nucleare sia realmente conveniente, o se invece si tratti di una temeraria avventura finanziaria, oltretutto in un periodo di grave crisi economica. Tutto questo è ancor più vero se si considera un altro aspetto: i tempi di realizzazione.

  

I tempi del nucleare

Sempre sulla base dell’esperienza acquisita negli Stati Uniti e altrove, si può escludere che la data del 2020 possa essere rispettata per la messa in funzione dei quattro impianti da costruire in Italia. Fra tanti esempi, riportiamo solo quello a noi più vicino. In Finlandia, l’autorizzazione per la costruzione di una centrale EPR francese (del tipo di quelle che si vorrebbero installare in Italia) è stata richiesta nel 2000 ed il piano prevedeva che sarebbe entrata in produzione nel maggio 2009. Dopo 42 mesi di lavoro effettivo, ci si è resi conto di essere in ritardo di 38 mesi rispetto alle previsioni, per cui l’entrata in produzione è ora prevista per l’estate del 2012. A causa di questo ritardo, sono anche scoppiate controversie legali miliardarie fra TVO finlandese (compratore) e Areva-Siemens (venditore), con la Siemens che poi ha ceduto ad Areva la sua quota di partecipazione al progetto. Da notare inoltre che l’ente di sicurezza nucleare STTUK ha già segnalato più di 2.100 situazioni di “non conformità” durante la costruzione di questa centrale.

La costruzione di una centrale nucleare è, in effetti, un’impresa molto complessa e anche nei paesi più avanzati e meglio organizzati del nostro, fra l’inizio delle pratiche e l’entrata in produzione, passa generalmente un numero di anni molto superiore a quello originalmente stimato. Tutto ciò fa concludere che le quattro centrali che si prevede di costruire in Italia, per le quali non si sono ancora individuati i siti, trovati i capitali, formati i quadri tecnici e avviate le pratiche burocratiche, non potranno quasi certamente entrare in funzione nel 2020.

L’espansione del nucleare non è una strada auspicabile neppure a livello mondiale in quanto si tratta di una tecnologia per vari aspetti pericolosa. C’è infatti una stretta connessione dal punto di vista tecnico, oltre che una forte sinergia sul piano economico, fra nucleare civile e nucleare militare, come è dimostrato dalle continue discussioni per lo sviluppo del nucleare in Iran. Una generalizzata diffusione del nucleare civile porterebbe inevitabilmente alla proliferazione di armi nucleari e quindi a forti tensioni fra gli Stati, aumentando anche la probabilità di furti di materiale radioattivo che potrebbe essere utilizzato per devastanti attacchi terroristici.

Infine, è evidente che, a causa del suo altissimo contenuto tecnologico, l’energia nucleare aumenta la disuguaglianza fra le nazioni. Risolvere il problema energetico su scala globale mediante l’espansione della tecnologia nucleare porterebbe inevitabilmente ad una nuova forma di colonizzazione: quella dei paesi tecnologicamente più avanzati su quelli meno sviluppati. Già nei paesi sviluppati la produzione di energia elettrica da centrali nucleari viene governata da pochi grandi investitori monopolisti causando enormi problemi all’accesso democratico dell’energia.

  

L’alternativa: le energie rinnovabili

La strategia da seguire per uscire dalla crisi energetica deve tener conto di numerosi altri aspetti oltre a quelli prettamente economici. La scelta dovrebbe cadere su fonti che soddisfano il maggior numero dei seguenti requisiti: abbondante, inesauribile, ben distribuita, non pericolosa per l’uomo e per il pianeta (né oggi, né in futuro), capace di favorire lo sviluppo economico ed occupazionale, di colmare le disuguaglianze, di favorire la pace. L’energia solare, con le altre energie rinnovabili, soddisfa questi criteri in grado ben maggiore dell’energia nucleare.

Si può dimostrare che nel nostro paese con un piano ben programmato di microgenerazione distribuita, basato sull’uso dell’energia solare ed eolica, è possibile produrre, praticamente con gli stessi costi, la quantità di energia che dovrebbero produrre le quattro centrali nucleari previste dal Governo. Col vantaggio che, mediante un’installazione progressiva, si incomincerebbe a produrre energia e a ridurre le emissioni di CO2 sin da ora, e non a partire da un ipotetico 2020. Gli sviluppi della ricerca scientifica, particolarmente sul fotovoltaico, sulle celle a combustibile e sulla produzione di idrogeno per via fotochimica e fotoelettrochimica promettono inoltre importanti margini di miglioramento. Cosa molto importante, particolarmente in questi anni di crisi occupazionale, una diffusa applicazione delle energie rinnovabili creerebbe in tempi brevi nuove imprese industriali ed artigianali e nuovi posti di lavoro. Più in generale lo sviluppo dell’energia solare, eolica e geotermica assieme ad un piano serio per il risparmio e l’efficienza energetica, sono in grado di coprire le esigenze del nostro paese e, allo stesso tempo, di portarci gradualmente fuori dalla dipendenza energetica e dalla produzione di gas serra. Questa scelta è anche in sintonia non solo con le decisioni della Unione Europea, ma anche con lo spirito che anima il nuovo presidente americano Obama: “… utilizzeremo l’energia del sole, del vento e della terra per alimentare le nostre automobili e per far funzionare le nostre industrie”. Lo sviluppo delle energie rinnovabili è un imperativo ancor più importante per un paese come l’Italia, che non ha petrolio, gas, carbone e uranio, ma ha vento, geotermia e, soprattutto, tanto sole. L’unica strada da percorrere per realizzare un mondo più vivibile e più pacifico è quella delle energie rinnovabili, verso il cui uso ormai si orientano tutte le nazioni della Terra (si veda il progetto IRENA), e non certamente quella dell’energia nucleare.

 

Il Comitato promotore
 
Vincenzo Balzani (Presidente), Università di Bologna
 
Vincenzo Aquilanti, Università di Perugia
Nicola Armaroli, Consiglio Nazionale delle Ricerche di Bologna
Ugo Bardi, Università di Firenze
Salvatore Califano, Università di Firenze
Sebastiano Campagna, Università di Messina
Marco Cervino, Consiglio Nazionale delle Ricerche di Bologna
Luigi Fabbrizzi, Università di Pavia
Michele Floriano, Università di Palermo
Giovanni Giacometti, Università di Padova
Elio Giamello, Università di Torino
Nazareno Gottardi, già ricercatore dell’EURATOM (Commissione Europea)
Giuseppe Grazzini, Università di Firenze
Francesco Lelj Garolla, Università della Basilicata
Luigi Mandolini, Università “La Sapienza”, Roma
Giovanni Natile, Università di Bari
Giorgio Nebbia, Università di Bari
Gianfranco Pacchioni, Università Milano-Bicocca
Giorgio Parisi, Università “La Sapienza”, Roma
Paolo Rognini, Università di Pisa
Renzo Rosei, Università di Trieste
Leonardo Setti, Università di Bologna
Franco Scandola, Università di Ferrara
Rocco Ungaro, Università di Parma

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