"Cambiamenti climatici e biodiversità": la conferenza di Marino Gatto a Torino

Torino, 12 maggio 2008

Oggi il prof. Marino Gatto, docente di Ecologia presso il Politecnico di Milano, ha tenuto l'ottava conferenza nell'ambito della mostra sui cambiamenti climatici al Museo di Scienze Naturali di Torino intitolata “I tempi stanno cambiando”. Nella presentazione, dopo una breve introduzione in cui ha sottolineato le relazioni tra i cambiamenti climatici a scala globale e la biodiversità, puntualizzando il significato semantico di quest'ultima parola, si è poi soffermato più specificamente sugli impatti dei cambiamenti climatici a scala globale evidenziando il funzionamento dei modelli di previsione degli impatti. Successivamente, ha analizzato più in dettaglio la situazione italiana ed europea, con alcuni esempi. Come al solito, riporto qui di seguito un breve riassunto degli argomenti trattati.

È molto difficile conoscere precisamente il numero esatto di specie attualmente esistenti sul nostro pianeta; una stima approssimata le quantifica in un numero compreso tra 3 e 30 milioni, e tra queste soltanto 1,8 milioni sono state catalogate. La maggior parte delle specie appartiene alla categoria degli insetti. Le specie animale e vegetale non sono distribuiti in modo omogeneo sul pianeta, ma sono spesso raggruppate in alcune aree specifiche note con il nome di "hotspot".

Lo studio dei fossili ci ha permesso di determinare il tempo di vita media di una specie animale nel passato: esso era all'incirca compreso tra 1 e 10 milioni di anni. in epoca più recente è possibile documentare i tassi di estinzione con una maggiore precisione: per quanto riguarda il secolo scorso, il tempo della vita media delle specie animali si è aggirato intorno ai 10,000 anni, mentre attualmente, per quanto riguarda uccelli e mammiferi, il tempo di vita media è dell'ordine dei 200-400 anni. Questa riduzione è dovuta a diversi fattori, tra i quali possiamo citare, nell'ordine, la variazione di utilizzo del suolo, i cambiamenti climatici, l'iperconcimazione dei suoli, lo scambio di vettori biotici e l'incremento di biossido di carbonio atmosferico.

Perché è importante il valore della biodiversità? La risposta è molto articolata. Gli ecosistemi forniscono infatti dei "servizi" che moderano gli estremi climatici e i loro impatti, che permettono la dispersione dei semi, che mitigano siccità e piene, che proteggono gli esseri umani dai raggi ultravioletti, che riciclano i sali nutrienti, che proteggono le rive dei fiumi e le coste dall’erosione, che detossificano e decompongono i rifiuti, che controllano gli organismi nocivi per l’agricoltura, che generano e conservano i suoli e rinnovano la loro fertilità, che contribuiscono alla stabilità climatica, che purificano aria e acqua, che regolano gli organismi vettori di malattie, e che provvedono all’impollinazione delle piante. 

Tra gli altri aspetti, non va dimenticato che l’80% della popolazione umana nel mondo utilizza prodotti medicinali naturali, di cui una grande maggioranza deriva da fonti naturali, e in particolare da prodotti vegetali naturali. Inoltre, oltre 100.000 differenti specie di animali – tra cui pipistrelli, api, mosche, farfalle, coleotteri e uccelli, - forniscono servizi "gratuiti" di impollinazione. Uno studio di Costanza et al., apparso su Nature nel 1997, ha quantificato in circa due terzi del prodotto interno lordo di tutti paesi del mondo il contributo dei cosiddetti "servizi" legati alla biodiversità.

A questo punto, il professor Gatto si è soffermato a esaminare le vie attraverso cui i cambiamenti climatici globali influenzano le specie animali e vegetali e gli interi ecosistemi. Per quanto riguarda i cambiamenti climatici, alcuni dei parametri considerati sono la temperatura media globale e la concentrazione atmosferica di biossido di carbonio e di altri gas serra (in particolare, il loro aumento), la modifica della distribuzione delle precipitazioni e in generale la modifica della frequenza e dell'intensità di eventi estremi. tra gli effetti, invece, sono considerati quelli sulla fisiologia, sulla fenologia, sulla distribuzione areale delle specie e sulla loro capacità di adattamento; sono inoltre studiate le modifiche delle interazioni tra le specie e quelle della struttura e della composizione delle comunità.

Egli ha mostrato una serie di esempi relativi a diverse tipologie di studi in questo settore. Uno dei parametri presi in esame è il tempo di risposta a una perturbazione ambientale a differenti livelli ecologici. Inoltre, si possono studiare le cosiddette "impronte digitali" ecologiche del riscaldamento globale andando a vedere come si sono modificati gli areali di distribuzione di alcune specie nel corso degli ultimi anni. Anche lo studio delle evidenze genetiche e di quelle fenologiche di alcune specie animali e vegetali si è dimostrato in grado di confermare le correlazioni con il riscaldamento globale in atto nel 20° secolo. Ad esempio, lo studio di Parmesan e Yohe, apparso su Nature nel 2003, evidenzia uno spostamento significativo degli areali di 6,1 Km per decennio verso nord, ed un anticipo altrettanto significativo di 2,3 giorni per decennio degli eventi primaverili, per effetto dell'incremento di temperatura. Allo stesso modo, Grabherr ed altri scienziati (articolo su Nature del 1994) hanno osservato uno spostamento tra uno e quattro metri per  decennio verso l'alto della vegetazione alpina sommitale. Parolo e Rossi, in un recente (2007) articolo apparso su Basic and Applied Ecology, hanno trovato valori di spostamento verso l'alto sulle Alpi Retiche superiori a quelli delle sole specie sommitali, pari a 13-59 m al decennio, valori in linea con l'incremento di temperatura osservato sulle regioni alpine. Una delle conseguenze di questo fatto, dimostrata nello studio di Walther ed altri scienziati apparso su Nature nel 2002, è l'incremento di specie esotiche che vanno a colonizzare gli areali alpini lasciati liberi dalle piante autoctone che stanno migrando verso l'alto.

Il professor Gatto ha poi rapidamente accennato al problema dello sbiancamento dei coralli, che affligge gran parte delle regioni tropicali del mondo, e che è principalmente dovuto all'incremento della temperatura media globale del pianeta. Com'è noto, infatti, i coralli vivono in un intervallo di temperature dell'acqua del mare molto ristretto, e sono quindi particolarmente suscettibili a incrementi di temperatura anche piccoli. Tuttavia, i coralli non sono gli unici esseri viventi che subiscono gli effetti dell'incremento della temperatura media globale: un altro esempio è quello dei copepodi calanoidi nell'oceano Atlantico nordorientale, i quali hanno iniziato una migrazione verso le acque più fresche che circondano l'Islanda.

Dopo questa carrellata di esempi di impatti dei cambiamenti climatici, l'argomento successivo è stato quello di illustrare i modelli usati per prevedere i impatti di cui si è detto. Ci sono diverse tipologie di modelli, a seconda che vengano presi in esame processi singoli o il loro insieme (modelli statici oppure dinamici), le singole specie o l'ecosistema, e infine le scale spaziali locali oppure quelle globali. in ogni caso, generalmente queste tipologie di modelli sono abbastanza semplici e prendono in considerazione delle relazioni statistiche semplificate e generalizzate in funzione di uno o comunque pochi parametri meteorologici oppure climatici: ad esempio, la temperatura media, la precipitazione, ed altri ancora. Uno studio di Thomas e altri scienziati, apparso su Nature nel 2004, pubblicizza il risultato del loro modello, secondo il quale il 25% delle specie mondiali estinte entro il 2050 a causa dell’azione combinata del riscaldamento globale e della degradazione degli habitat.

Un problema dei modelli numerici è quello del downscaling, ovverossia l'interpolazione dei dati su grigliati ad alta risoluzione, in modo da essere in grado di descrivere meglio la distribuzione locale dei parametri meteorologici. Un'altra lacuna dei modelli numerici attuali è che, anche se esistono relazioni causali dirette tra clima e distribuzione della fauna, o tra clima e utilizzo del suolo, i modelli correnti si focalizzano sulle risposta individuale delle specie ai fattori esogeni.

Per quanto riguarda il territorio italiano, dati al riguardo ce ne sono ancora molto pochi. Ne è una dimostrazione il fatto che, nel quarto rapporto del IPCC, nella sezione relativa all'impatto e, all'adattamento e alla vulnerabilità, per quanto riguarda le Alpi sono presenti pochissimi studi, per la massima parte concentrati sulla regione alpina. Pertanto, si aprono grandi potenzialità per lo svolgimento di studi futuri in una regione così critica come le Alpi per quanto riguarda la risposta ai cambiamenti climatici.

Uno studio di Thuiller relativo all'Italia, apparso su "Global change biology" nel 2003 e disponibile su questo sito, dimostra come, prendendo in considerazione lo scenario A2 dell'IPCC,  i cambiamenti climatici previsti per il primo cinquantennio di questo secolo potranno avere grosse ripercussioni sulla fauna e sulla flora dell'Italia, con diminuzione del numero di specie dell'ordine di qualche centinaio, in particolare sulle regioni appenniniche su quelle prealpine della pianura padana.

La prossima conferenza, "Il clima della regione mediterranea: tendenze attuali e cambiamenti futuri", sarà tenuta dal prof. Piero Lionello, dell'Università del Salento, il prossimo 16 maggio, sempre alle 17.45, al museo.

Le figure che seguono sono state tratte dalla presentazione di
Gatto.

Posizione dei 25 hotspot nel mondo. Le cosiddette aree di 
hotspot espanse comprendono il 30-3% delle aree rosse. Si noti come, in pratica, l'intero territorio italiano sia considerato un'area di hotspot . Fonte: Myers N. et al.(2000) Nature, 403: 853-858.

Parco Nazionale dello Stelvio: Distribuzione della vegetazione a cespuglio. Fonte: Cannone N., Sgorbati G., Guglielmin M. (2007) Frontiers in Ecology and the Environment, 5:360-364

Questo grafico permette di ricostruire le velocità di migrazione verso quote più elevate di alcune specie vegetali (piante vascolari) favorite dall'incremento di temperatura sulle Alpi Retiche (in particolare, nei pressi di punta Marinelli, a quote comprese tra 2300 e 3250 m s.l.m.). In tali regioni, l'incremento termico registrato negli ultimi cinquant'anni è stato di 1,6°C in estate e di 1,1°C in inverno. I dati sono tratti dall'articolo di Parolo G, G Rossi (2007). Upward migration of vascular plants following a climate warming trend in the Alps, Basic and Applied Ecology, doi:10.1016/j.baae.2007.01.005.

Il grafico mostra il rateo di sostituzione della vegetazione non sempreverde indigena con specie sempreverdi esotiche a grande foglia nella Svizzera meridionale (curva verde, media corrente sui 5 anni). Come si può anche vedere dalla foto, lo strato dei cespugli è stato sostituito da un numero crescente di specie esotiche sempreverdi a grande foglia che stanno via via occupando gli areali di distribuzione delle specie indigene. Le nuove specie esotiche sembrano approfittare delle condizioni invernali più miti, di cui si è trovato riscontro nel numero decrescente di giorni con brina all'anno (curva grigia a sinistra, media corrente sui 5 anni). I dati sono tratti dall'articolo di G-R. Walther, E. Post, P. Convey, A. Menzel, C.  Parmesan, T.J. C. Beebee, J-M.Fromentin, O. Hoegh-Guldberg & F. Bairlein “Ecological responses to recent climate change”  Nature 416, 389 - 395 (2002).

nella mappa di questa figura sono colorate in verde le zone oceaniche in cui si è registrato un incremento di temperatura fino a 1°C, in giallo chiaro fino a 2°C, in giallo scuro fino a 3°C è in rosso fino a 4°C. Le aree viola indicano invece le zone in cui è stato osservato il fenomeno dello sbiancamento dei coralli. Come si può osservare tale fenomeno interessa prevalentemente le acque calde tropicali in corrispondenza di incrementi di temperatura pari o superiori a 2°C. I dati di temperatura sono stati tratti dal NOAA-NESDIS (National Oceanic and Atmospheric Administration, National Environmental Satellite Data and Information Service) e dal UNEP-WCMC (United Nations Environment Program - World Conservation Monitoring Centre) per l'anno 1999, mentre i dati di sbiancamento dei coralli si riferiscono agli anni 1997 e 1998.

Distribuzione dei copepodi calanoidi nell’oceano Atlantico Nordorientale, suddivisa per quattro categorie di specie che colonizzano rispettivamente acque più temperate e più fredde. In tutti i casi, si può notare l'avvenuta immigrazione delle specie verso acque più fredde, collocati in prossimità o al di là dell'Islanda. La figura è tratta dallo studio di Beaugrand G., 2004. The North Sea regime shift: evidence, causes, mechanisms and consequences. Progress In Oceanography 60: 245-262.

Questa figura esemplifica il modo di funzionamento dei modelli che prevedono la distribuzione areale della vegetazione nel futuro. L'esempio in questione mostra la distribuzione delle foreste di faggio (
Fagus sylvatica) in Europa prevista per la fine del secolo (al centro, in alto). La distribuzione è stata calcolata sulla base del valore di alcuni parametri climatici: la temperatura media del mese più freddo (in basso a sinistra), la somma delle temperatura annuale al di sopra di 5°C (in basso al centro) e l'indice alfa di Preistley-Taylor (in basso a destra).

questo grafico indica il rapporto fra numero di specie animali e vegetali previste per la fine del secolo e il numero relativo al 1990. I dati relativi al clima provengono da uno scenario di riscaldamento moderato (incremento di temperatura globale di circa 3°C e sull'Europa di circa 3.3°C). Il colore rosso indica un rapporto inferiore al 20%, mentre il colore verde indica un rapporto superiore al 90%. Come si può osservare, si prevede che almeno il venticinque percento delle specie si estinguerà a causa dell'azione combinata del riscaldamento globale e della degradazione degli habitat. I dati sono tratti da Thomas et al. (2004), Nature 427:145-148.

Questa figura mostra gli areali di distribuzione della quercia (Quercus petraea)  valutati utilizzando diverse tecniche modellistiche, in particolare diversi modelli. Per i dettagli relativi all'utilizzo dei modelli, si rimanda all'articolo di Thuiller, 2003. Global change biology, 9: 1353-62.

Il quarto rapporto dell'IPCC, pubblicato nel 2007, dal titolo "Impacts, Adaptation and Vulnerability", contiene 29.000 serie di dati fisico-biologici selezionate a partire da 80.000 serie (577 studi) secondo i seguenti criteri:
gli studi debbono essere stati terminati dopo il 1990 e durati almeno 20 anni; debbono mostrare cambiamenti significativi in accordo o in disaccordo con i cambiamenti climatici globali. Questi requisiti hanno fatto sì che, sull'Italia, esistano pochi studi, tutti quanti concentrati in prevalenza sull'area alpina. Pertanto, nonostante l'Italia sia una delle regioni del mondo caratterizzate dalla massima biodiversità e, quindi, sia da considerarsi più a rischio per quanto riguarda l'impatto dei cambiamenti climatici futuri sulle specie animali e vegetali, ciò nonostante il numero di studi effettuati sul nostro territorio è alquanto limitato.

Il modello BIOMOD descrive la nicchia ecologica delle singole specie sulla base di dati di occorrenza e simula la distribuzione futura secondo gli scenari dei cambiamenti climatici globali. La figura illustra le previsioni del modello relative alla variazione del numero di specie in due periodi: il grafico a sinistra si riferisce al trentennio 2020-2050, mentre il grafico a destra si riferisce al trentennio 2050-2080. In entrambi i casi, i dati climatici utilizzati sono stati tratti dalle simulazioni effettuate con il modello HadCM3 prendendo come riferimento lo scenario A2. Per maggiori dettagli, si rimanda all'articolo di Thuiller, 2003. Global change biology, 9: 1353-62 (si veda anche il sito web del team di Potsdam).

I grafici mostrano lo spostamento dell’areale di distribuzione della processionaria (Thaumetopoea pityocampa). La distribuzione dell'areale è determinata dalla temperatura invernale e dalla radiazione solare. Si nota come, in Francia, si sia avuto uno spostamento di 87 Km verso latitudini maggiori (dati del periodo 1972-2004), mentre in Italia, sulle Alpi, si sia avuto uno spostamento di 110-230 m in quota (dati del periodo 1975-2004). Per maggiori dettagli, si rimanda agli articoli: Buffo, Battisti, Stastny e Larsson, 2007. Agricultural and Forest Entomology, 9: 65-72; Battisti, Statsny, Netherer, Robinet et al., 2005, Ecological Applications, 15:2084-96.
 

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