Torino, 20 giugno 2008
Oggi il dr. Wolfgang Sachs, del Wuppertal Institute for Climate, Energy and the Environment, ha tenuto la quattordicesima conferenza nell'ambito della mostra sui cambiamenti climatici al Museo di Scienze Naturali di Torino intitolata “I tempi stanno cambiando”. Come al solito, riporto qui di seguito un breve riassunto degli argomenti trattati.Il professor Sachs ha iniziato la sua conferenza spiegando che non avrebbe fatto uso del calcolatore né di diapositive in quanto lui predilige una comunicazione diretta con il pubblico, in maniera tale che gli spettatori possano immaginarsi le figure e non siano invece "disturbati" dalla visione delle stesse, spesso molto, troppo suggestive, specialmente quando si parla di cambiamenti climatici.
La presentazione si è articolata in alcune tematiche alle quali Sachs ha voluto dare un titolo ad effetto. Il titolo della prima è: "La fortuna nella disgrazia"; quello della seconda: "Il caso speciale dell'Europa". I titoli della terza e dellla quarta, che sono state pensate per avvicinarsi un po' di più ai problemi della giustizia globale, sono rispettivamente: "La zanzara" e "Il petrolio".
Sachs ha iniziato subito con una precisazione semantica: secondo lui, infatti, non è corretto parlare di "cambiamenti" climatici, in quanto, in primo luogo, il clima è sempre mutevole per sua caratteristica intrinseca; in secondo luogo, la parola "cambiamento" evoca una sensazione troppo piacevole; in terzo luogo, nel mondo, tutto cambia. Per questi motivi, è più corretto e meno eufemistico parlare di "caos" climatico, "caos" nel senso che non può essere tracciato il “sentiero” del cambiamento del clima. Come esempio del caos climatico, Sachs ha parlato dei fiumi: è infatti noto che, in tutto il mondo, le varie civiltà si sono sviluppate attorno ai fiumi, ed i fiumi traggono origine dalla fusione dei ghiacciai. È un fatto che, attualmente, i ghiacciai si stanno riducendo in tutto il mondo, e questo si ripercuote sui livelli e sulle portate dei fiumi, che nelle stagioni più secche si stanno infatti riducendo. Le grandi pianure che producono la maggior parte dei prodotti agricoli del mondo sono produttive grazie all’acqua proveniente dai fiumi: si pensi, ad esempio, ai fiumi della Cina e dell’India, i due stati più popolati del mondo, così come alla civiltà della Mesopotamia, a quei tempi molto fertile (ma non più attualmente), ed a come una riduzione del loro apporto idrico potrebbe ripercuotersi sulla produttività agricola della zona.
A livello di curiosità, una semplice ricerca
su Google mi ha fatto conoscere l'esistenza di un gioco di avventura al
calcolatore, chiamato "climate chaos" e prodotto da Super Flash Bros
(disponibile qui per chi fosse interessato). Anche questo è un segno della crescente popolarità dell'argomento.
Il carbone rappresenta l’unica eccezione a questo discorso, visto che le sue riserve sono ancora elevate e, pertanto, il suo prezzo non è in aumento. Il carbone è anche, tuttavia, il prodotto più inquinante, dal punto di vista delle emissioni di biossido di carbonio, a parità di energia prodotta; tuttavia, secondo Sachs, il mondo si sta faticosamente avviando verso un’epoca di decarbonizzazione, per cui questo potrebbe non essere un problema, anche se, al momento, il carbone potrebbe apparire come l’unico mezzo per vincere la scarsità delle risorse energetiche.
Sul problema delle risorse energetiche è illuminante la lettura del libro "I limiti dello sviluppo", pubblicato ad opera del Club di Roma nell'anno 1971 per iniziativa di Aurelio Peccei e Jay W. Forrester, con i coautori Donella e Dennis Meadows, e Jorgen Randers, e dei suoi aggiornamenti "Oltre i limiti dello sviluppo", pubblicato nel 1993 ad opera di Donella e Dennis Meadows, e Jorgen Randers, di cui si trova un'attenta analisi critica su questo saggio di Guido della Casa, e "I nuovi limiti dello sviluppo", pubblicato nel 2006 sempre da Donella e Dennis Meadows, e Jorgen Randers.
Sachs inizia chiedendosi: "Come mai la civiltà europea, anzi euroatlantica (con questo nome egli intende, in senso lato, Europa e America del Nord e, in generale, il mondo delle nazioni più sviluppate) è emersa, negli ultimi 200 anni, come la civiltà leader del mondo?". Duecento anni fa, la civiltà euroatlantica non appariva in netto vantaggio sulle altre rispetto ad oggi. Molti analisti ed esperti danno a questa domanda le risposte più disparate: alcuni additano motivi climatici, altri fanno ricorso al fatto che queste civiltà sono cristiane. Sachs ne dà un'altra spiegazione, e, per farlo, ci parla dello studio di Kenneth Konrad, che ha fatto un paragone tra l'Inghilterra e la Cina orientale nel 1780. In quell'epoca, entrambe le nazioni avevano gli stessi problemi: l'energia ed il cibo (le cose, come si vede, non sono cambiate molto, da allora). In Inghilterra, così come in Cina, si era proceduto ad un disboscamento selvaggio al fine di garantirsi l'approvvigionamento di legname da bruciare per produrre energia per le voraci nascenti industrie. Inoltre, l'aumento di popolazione richiedeva più cibo. L'Inghilterra, tuttavia, fece qualcosa di più rispetto alla Cina: per superare i limiti di produttività naturale del suo territorio e garantirsi il crescente benessere economico, decise di approvvigionarsi di cibo e materie prime all'estero, dalle sue colonie o dai territori vicini, tramite il commercio marittimo, grazie alla sua abilità ultrasecolare in tale campo, che la Cina, invece, non possedeva. Per l'energia, inoltre, utilizzò il carbone, che era sepolto in grande quantità nel proprio sottosuolo e facilmente disponibile e trasportabile, specialmente per quanto riguarda l'utilizzo, ancora ridotto rispetto a oggi, che se ne faceva all'epoca. Anche la Cina aveva a disposizione il carbone, ma le miniere erano dislocate in posti più difficilmente raggiungibili, e pertanto non era disponibile in modo così semplice come in Inghilterra. Fu questa la causa del grande sviluppo inglese e, in definitiva, dell'avvento della rivoluzione industriale. In Cina, invece, l'utilizzo del carbone fu molto più limitato e marginale, per parecchio tempo.
In altri termini, per rispondere alla domanda, si può dire che la civiltà euroatlantica si è sviluppata grazie alla capacità di mobilizzare risorse nella vastità geografica (le colonie) e nella profondità geologica (l'estrazione di combustibili fossili dal sottosuolo: il carbone e, più recentemente, il petrolio). Oggi sappiamo che in queste condizioni erano solo temporanee, perché l'abbondanza di risorse, come si sa, non c'è più. Anche perché la popolazione del mondo, nel frattempo, è cresciuta ad un ritmo esponenziale ed attualmente supera quella del 1780 di oltre sei volte. Per questo motivo, oggi, si apre un grande dilemma, che Sachs definisce drammaticamente come "la tragedia del ventunesimo secolo", per tutti i Paesi cosiddetti in via di sviluppo che vogliono seguire le orme della civiltà euroatlantica ed il cui punto di arrivo, il benessere economico, è costituito dal modello delle società ricche euroatlantiche: non ci sono più colonie, e non ci sono più giacimenti di materie prime (petrolio, gas,..). Questo è una sorta di vicolo cieco.
Sachs inizia questa discussione parlando in realtà del film americano "The day after tomorrow", in italiano tradotto come "L'alba del giorno dopo" (si veda il mio pensiero del 1° giugno 2004). Alcune delle scene di maggiore impatto visivo e drammatico di questo film sono quelle che mostrano diverse città nordamericane coperte da metri di neve e ghiaccio. Secondo Sachs, proprio questo aspetto del film è uno di quelli più didatticamente "negativi": perché induce l'idea che i cambiamenti climatici possano avvenire in tempi molto brevi e produrre effetti molto vistosi. In realtà, invece, spesso accade proprio il contrario: le variazioni sono pressoché impercettibili, almeno per quanto riguarda i sensi umani, e possono essere registrate soltanto dagli strumenti e da una successiva ed attenta analisi dei dati strumentali. Un esempio, a questo proposito, è quello della diffusione della malaria, una malattia trasmessa dalle zanzare il cui areale di diffusione si sta espandendo lentamente verso le latitudini e le altitudini più alte a causa del riscaldamento globale. Gli incrementi di temperatura previsti dai modelli fanno supporre che, nei prossimi decenni, l'areale di diffusione di questa malattia possa espandersi ulteriormente e coinvolgere qualche centinaio di milioni di persone in più rispetto a quanto accade oggi.
Questi cambiamenti sono lenti e "silenziosi", e soltanto un'attenta analisi dei dati li può rivelare. Anche perché, generalmente, sono le popolazioni dei Paesi più poveri quelle che sono più coinvolte, almeno per adesso, e quindi le notizie si diffondono più lentamente ed hanno "un interesse più marginale". Allo stesso tempo, anche il declino della produttività agricola legata alle variazioni climatiche colpisce e colpirà sempre più maggiormente i Paesi collocati nelle aree tropicali, che generalmente sono Paesi poveri che già soffrono di carenze alimentari (si veda, a questo proposito, quanto detto durante la conferenza di Pasini). Alcuni di questi Paesi sono colpiti da conflitti che la nostra civiltà è usa etichettare genericamente come conflitti "etnico-religiosi". In realtà, a volte, secondo Sachs, tali conflitti hanno la loro vera origine in dispute che effettivamente avvengono tra diverse etnie o tribù, ma il cui motivo è quello di accaparrarsi il cibo o le materie prime. Spesso tali conflitti coinvolgono Nazioni rette da regimi di tipo dittatoriale e sono presenti sovvenzionamenti - anche militari - di altri Paesi.
Un altro esempio è quello degli Inuit: questo popolo ha compiuto il primo atto giuridico contro i cambiamenti climatici rivolgendosi al tribunale internazionale per violazione dei diritti umani (il diritto al cibo, alla casa,...). La motivazione è quella che le variazioni climatiche hanno già alterato in maniera molto visibile (e rischiano di farlo ancora di più in futuro) l'habitat in cui vivono, rendendo molto più difficile il loro stile di vita (scomparsa dei ghiacci e del permafrost, riduzione della fauna che costituisce il loro cibo principale, ...). A questo proposito, si legga anche il mio pensiero del 19 aprile 2008 che riguarda le isole del Pacifico a rischio di sommersione.
La nostra civiltà
ha sete di petrolio: esso serve per i
trasporti (ad esempio, il 90% del petrolio importato dagli Stati Uniti
d'America serve a "muovere le macchine") ma anche per tutta una serie
di
altre cose assolutamente indispensabili al giorno d'oggi: medicinali,
fertilizzanti, pesticidi, la plastica e, in genere, alcuni prodotti
dell'industria
chimica, la stoffa, ecc. Al giorno d'oggi, riconosce
Sachs, c'è un dibattito abbastanza acceso che riguarda il
petrolio, ma esso si limita a riguardare la data esatta in cui
verrà raggiunto (o in cui è già stato
raggiunto) il picco di produzione, detto picco di Hubbert dal nome del
geofisico americano Marion King Hubbert che propose quella che divenne
la sua teoria nel 1956 (su questo sito
alcuni link pubblicizzati dall'università di Princeton relativi
a libri sull'argomento), mentre si discute (di meno, però) su
come sia possibile sostituire il petrolio con fonti energetiche
alternative (si veda al proposito il sito dell'ASPO o quello in lingua italiana di ASPOItalia).
Pochi si preoccupano, invece, del gigantesco conflitto tra
una domanda di petrolio sempre crescente ed un'offerta che,
inevitabilmente, sarà sempre decrescente. Infatti, le
nazioni emergenti, come Messico, Brasile, Cina, India, per parlare solo
dei paesi più popolati, si trovano in una fase di grande
sviluppo e richiedono quantità sempre maggiori di petrolio.
La necessità di accaparrarsi materie prime è uno
dei fattori che influisce anche sulle politiche economiche e, in
generale, sulle politiche estere delle nazioni più assetate
di petrolio: ad esempio, negli anni recenti, si assiste a parecchi
alleanze tra la Cina e alcune nazioni africane (il Sudan, per esempio).
Il petrolio è, tuttavia, soltanto un esempio che
può essere, in realtà, ricondotto a tutte le
materie prime: ad esempio, in questo periodo, in Occidente,
c'è una crescita continua dei prezzi di alcune materie
prime, come la carne, il latte, la pasta ed il pane che, almeno in
parte, può essere ricondotta proprio alla diminuzione
dell'offerta mondiale di materie prime, in questo caso alimentari.
Parte della diminuzione dell'offerta può essere imputabile al
crescente utilizzo della produzione agricola per soddisfare la domanda
di biocombustibili (si veda, a questo proposito, il mio pensiero qui).
Ci
sono, poi, i Paesi più sfortunati, quelli che sono poveri e non
hanno né petrolio nè materie prime (Sachs cita, ad
esempio, il
Laos, il Paraguay, ...) e che rimangono strangolati da questo conflitto
globale, diventando sempre più poveri.
Dopo aver illustrato questi punti, Sachs si propone di concludere
la conferenza illustrando dei percorsi utili, a suo giudizio, per
trovare una strada del benessere che risponda al requisito della
giustizia sociale.
La prima strada di cui ci parla può essere etichettata con la frase "dallo spreco all'efficienza". La nostra attuale economia, erede delle dottrine economiche nate con la rivoluzione industriale, si basa su un presupposto di base: che i prodotti naturali sono gratuiti e che non è necessario considerare i costi "biosferici" e, in generale, il costo della natura. Questo presupposto, come si può facilmente capire, si è incrinato o, meglio, si è scoperto che non è più valido. Si rende così necessario dirigere il modello tecnologico verso una nuova direzione: si deve cercare una tecnologia e una nuova economia che non solo sappia fare le cose con meno lavoratori e meno costi (il che collima con gli obbiettivi attuali), ma che sappia fare le stesse cose consumando meno energia e meno materie prime.
Inoltre,
c'è un altro punto: si parla molto di risparmio energetico.
Spesso non si capisce chiaramente il significato esatto di questa
espressione. Risparmiare significa creare una filiera, cioé
una nuova linea di produzione ed utilizzo dell'energia, che,
nella sua interezza, consumi meno materie prime e meno energia. Sachs
illustra, come esempio, la catena dell'energia "dalla miniera
alla
lampadina": la miniera, i materiali, gli impianti di energia, le
raffinerie, gli impianti di riscaldamento, le linee di trasmissione, i
motori, ecc., e da ultimo, sì, anche le lampadine. Utilizzare le
lampadine a
risparmio energetico è una cosa certamente molto utile, ma
coinvolge soltanto uno dei
componenti della filiera. Per avere un reale risparmio energetico su
tutta la filiera, occorre intervenire su ciascun suo componente, e
questa è una grande sfida per i progettisti, gli ingegneri,
e così via. Ciò non toglie che, a volte, anche
agire su un unico componente porta degli indubbi vantaggi. Sachs porta,
a questo proposito,
un esempio, relativo alla Germania: la sostituzione delle pompe di
riscaldamento per far circolare l'acqua con modelli più
efficienti potrebbe, da sola, fare risparmiare all'intera Germania il
10% del suo consumo energetico. Questo è solo un esempio, ma
dimostra come, a volte, il risparmio energetico si possa ottenere fin
da subito con una tecnologia disponibile. Tuttavia, perché
tutto ciò abbia successo, è necessario che la
politica fornisca gli standard relativi al risparmio energetico.
La seconda strada illustrata da Sachs è etichettabile con la frase "dal fossile al solare".
La domanda di partenza è: "Com'è possibile cambiare la
base delle risorse
dell'economia?". Attualmente, le risorse sono basate sui combustibili
fossili, mentre la speranza è che, in futuro, si basino
sull'energia solare. Energia solare è un termine che va inteso
in senso lato, in quanto comprende, quindi, anche la
produttività agricola (la
vegetazione sfrutta, attraverso la fotosintesi clorofilliana, la
radiazione solare). Sachs illustra questo punto con tre
considerazioni.
La prima è la questione della sicurezza globale, una cosa che - dice - abbiamo imparato tutti durante la guerra in Iraq. La filiera del petrolio è molto lunga: in essa c'è una grande distanza tra i Paesi produttori di petrolio e i Paesi consumatori. I Paesi consumatori sono dipendenti da un sistema di approvvigionamento che attraversa diverse Nazioni, per cui è necessario prendere delle misure per garantire la sicurezza di questa catena di approvvigionamento. Questo è quello che hanno fatto gli Stati Uniti negli ultimi cinquant'anni, anche attraverso conflitti. L'energia solare, quella eolica, quella da biomassa, invece, non hanno queste controindicazioni, perché possono essere prodotte vicino al consumatore e non necessitano di particolari misure di sicurezza.
Una seconda osservazione è che non basta parlare delle energie rinnovabili, ma occorre proprio cambiare il nostro modo di pensiero. Noi siamo abituati a considerare il sistema energetico come un sistema nel quale sono presenti enormi impianti di produzione di energia (che utilizzano combustibili fossili), delle grandi reti di trasmissione che distribuiscono energia dalle grandi centrali ai "piccoli" utilizzatori attraverso tutta una ramificazione dei servizi (le reti elettriche oppure i distributori di benzina). Al giorno d'oggi, è invece necessario pensare in modo diverso, ad una sorta di energia "fai da te", in cui ogni casa, ogni utilizzatore può diventare un piccolo produttore di energia, installando un generatore eolico sulla propria casa, o degli impianti solari, convertendo il calore in eccesso generato dalla propria caldaia, o mediante altri dispositivi. Naturalmente, per fare questo occorre, prima, risolvere il problema tecnologico di costruire un'infrastruttura di rete capace di gestire un sistema di questo tipo; questo problema è ancora ancora aperto in Italia, mentre è già stato risolto in Germania. Questa, come si diceva anche prima, è però un'indicazione che deve venire dalla politica: la decisione di adeguare la rete di distribuzione deve, infatti, essere presa a livello politico. In Italia, ad esempio, esiste il programma "conto energia", che permette già adesso ad ogni cittadino di generare energia "in proprio" e addirittura di immetterla nella rete, obbligando la rete stessa a comprarla.
La terza considerazione
è la
seguente: si sa che, in media, nella nostra civiltà, noi
consumiamo energia come se ognuno di noi avesse a disposizione 30
"schiavi energetici" (il numero 30 si riferisce all'Italia: in Europa,
la media è 50, negli USA circa 100) che lavorano 24 ore al
giorno. I numeri "magici" derivano dalla potenza media utilizzata
da ciascun uomo divisa per la potenza media fornita da un essere umano
medio, sempre riferito ad una giornata, ed è lo stesso concetto
alla base della definizione di impronta ecologica (qui ben spiegato): si consulti, al proposito, l'illuminante presentazione del prof. Balzani dell'Università di Bologna su questo sito. Nel futuro,
sarà inevitabile che ognuno di noi utilizzi meno "schiavi
energetici", cioè che impari a diventare più
produttivo consumando meno energia. Sachs ha portato l'esempio delle
macchine, ed ha ipotizzato una civiltà nella quale le
macchine non possano correre a velocità superiore ai 120
km/h, con la massima redditività energetica alla
velocità di 30 km/h. Sarebbero certamente macchine molto diverse da quelle attuali. Macchine di questo tipo non
necessiterebbero di dispositivi antiurto così massicci come
quelle sulle macchine attuali, visto che le velocità
sarebbero considerevolmente inferiori. Inoltre, probabilmente, il
numero di macchine stesso sarebbe inferiore, in quanto, per spostamenti
piccoli, sarebbero preferiti altri mezzi di trasporto. Una
velocità minore renderebbe anche il traffico più
scorrevole, evitando gli intasamenti dovuti alle differenze di
velocità (come dimostrato da vari studi - si veda, tra gli altri, il libro "L'elogio della bicicletta", di Ivan Illic, ad esempio su questo sito). Globalmente, quindi,
questo sistema garantirebbe un alto risparmio energetico.
Sachs ha poi concluso il suo intervento con una considerazione finale
relativa al problema della mancanza di tempo: al giorno d'oggi,
è noto che tutti, almeno per quanto riguarda le Nazioni
occidentali, hanno sempre fretta. Ci sono sempre più
appuntamenti, tante, troppe cose da fare, ma sempre meno tempo per farle.
È un problema comune a molte Nazioni occidentali, e accade
in Italia, in Germania come in America. Questa mancanza di tempo ci
rende più difficile assaporare il piacere delle cose, della
notturna, della vita stessa e, d'altra parte, si riflette nel fatto che
i nostri spostamenti avvengono a velocità sempre maggiori,
con un conseguente sempre maggiore dispendio di energia e di
combustibili fossili. In questo discorso, è sottinteso il
fatto che un cambiamento degli stili di vita potrebbe quindi avere
anche un risvolto positivo sulla qualità della vita.
La
prossima
conferenza, "Gli animali e il cambiamento
climatico", sarà tenuta dal prof. Giorgio Celli,
dell'Università di Bologna,
il
prossimo 20 settembre (eccezionalmente
di sabato!!), sempre
alle 17.45, al museo.
Come ho detto all'inizio, il professor Sachs ha tenuto la sua
conferenza senza l'ausilio di proiezioni o presentazioni visive, per
cui le poche immagini qui di seguito mostrate sono state da me
selezionate sulla base degli argomenti discussi durante la conferenza.
Questa immagine, tratta da treehugger.com, è la terza immagine presentata da Google immagini digitando come chiave di ricerca "climate change". Secondo Sachs, la proiezione di immagini di questo tipo, molto suggestive, hanno l'effetto di distogliere l'attenzione dell'ascoltatore, che tende così a smettere di ascoltare chi parla e di concentrarsi sulla senzazione visiva. |
Le campagne inglesi sono
note per la loro scarsità di alberi d'alto fusto, dovuta alla
massiccia deforestazione post-medioevale causata dalla necessità
di bruciare legname per produrre energia (foto tratta da
westernfolklife.org).
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Un gruppo di minatori nelle miniere di carbone di Beaver Falls ai primi del '900 (foto tratta da gerenzanoforum.it). |
Mappa dell'impronta ecologica mondiale, scaricabile da questo sito. |